Franco Buzzi: Speculazione e storia in Lutero

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Il seguente testo è il primo capitolo di un saggio più lungo che riprende le tematiche trattate dal Prof. Buzzi durante i seminari teologici organizzati in collaborazione con l’ASLI. Ringraziamo quindi Prof. Buzzi per la stesura del testo e speriamo di poter presto fare una piccola pubblicazione con i frutti dei seminari. (DK)
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Conoscenza naturale di Dio e rivelazione storica del suo nome
in Lutero e nel luteranesimo
Prof. Mons. Franco Buzzi
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È presente anche nei riformatori del XVI secolo la tesi secondo cui è possibile all’uomo conoscere con la propria ragione naturale che Dio esiste1. Tuttavia questa prospettiva dottrinale non gioca un grande ruolo nella loro teologia. Infatti, secondo loro, questa tesi porta con sé possibili elementi di ambiguità dai quali bisogna liberarsi2. Sono, in sintesi, i limiti di ogni speculazione astratta.
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  1. Speculazione e storia in Lutero
Prima però di considerare il lato critico della loro ammissione, occorre prendere atto che la Bibbia stessa non ha dubbi sul fatto che sia possibile affermare l’esistenza di Dio servendosi semplicemente della ragione. Anche Lutero ne è convinto: non si può dubitare di questa conoscenza naturale di Dio, della quale tutti gli uomini da sempre dispongono, anche dopo il peccato di Adamo e nonostante la sua propagazione universale. Commentando Rm 1, 19-233, Lutero riconosce che gli uomini non avrebbero neppure potuto peccare di idolatria, se non avessero attribuito «a ciò che non è Dio» le caratteristiche di Dio. Ne consegue in modo evidente che, per operare quest’attribuzione perversa (“perversa”, perché hanno «soffocato la verità nell’ingiustizia» cfr. Rm 1, 18), è senz’altro necessario conoscere qualcosa di D io, insomma avere una notizia certa di Dio:
È fuori discussione che a tutti, ma in particolare agli idolatri, sia stata data una chiara conoscenza di Dio, come dice qui, in modo tale che, senza possibilità di scuse, si possa loro provare che essi hanno conosciuto le perfezioni invisibili di Dio: la sua divinità stessa, come pure la sua eternità e la sua potenza. Ciò risulta chiaramente dimostrato da questo: tutti coloro che hanno costruito e adorato idoli, chiamandoli dei o Dio, ed hanno attribuito a Dio l’immortalità, cioè l’eternità al pari della potenza e della capacità di prestare aiuto, tutti costoro hanno dimostrato di avere avuto nel cuore una chiara conoscenza della divinità. Infatti, come potrebbero chiamare Dio o ritenere simile a lui un’effige o un’altra creatura, se non sapessero nulla circa la sua natura e circa ciò che solo a lui compete fare? Come potrebbero attribuire questa caratteristiche a colui cui ritengono che la pietra assomigli, se non credessero che esse co nvengono veramente a Dio?4
Come si vede la conoscenza naturale di Dio non riguarda semplicemente la sua esistenza, ma comporta anche la nozione di alcune sue caratteristiche metafisiche e morali: onnipotenza, invisibilità, immortalità, giustizia e bontà.
Ora però occorre cominciare a porre in evidenza i limiti e le ambiguità che si accompagnano a tale capacità naturale di cogliere Dio. L’idolatria dimostra che: 1. Gli uomini non si fermano all’affermazione dell’esistenza di Dio e di qualche sua qualifica divina: non lasciano essere e non onorano la divinità nella sua nudità, ma la interpretano secondo i loro desideri e la loro opinione arbitraria5. 2. Inoltre gli uomini tramutano la verità di Dio in menzogna6 e in ciò fanno il gioco di satana che è il padre della menzogna (Gv 8, 44).
La conoscenza puramente naturale di Dio porta dunque con sé anche difficoltà, limiti e ambiguità7. Lutero ha riflettuto a lungo sui vari aspetti di quest’argomento. Nel suo Commento a Giona8 mi sembra che egli sia stato assai esauriente sull’intera questione della capacità e dei limiti della ragione naturale. Infatti, commentando Gio 1, 5 (dove si dice che «i mariani, impauriti, invocarono ciascuno il proprio Dio»), Lutero trova la conferma di quanto Paolo sostiene in Rm 1: la ragione naturale, lume presente in tutti gli esseri umani, sa che Dio è più grande di tutte le cose, sa che egli può aiutare in tutte le necessità e può scampare da tutti i pericoli9. Ma se Dio può aiutare in tutte le necessità, ne consegue anche che da Dio può venire ogni bene, perché chi può salvare dal male può donare anche ogni bene e propiziare la felicità. Il lume naturale della ragione giunge fino a riconoscere che Dio è buono, ricco di grazia, misericordioso e mite; das ist eyn gross liecht, esclama Lutero10.
Ma qui si ferma la ragione e in ciò consiste il primo inconveniente: la ragione umana sa che Dio può aiutare e salvare ecc., ma che egli voglia farlo proprio a vantaggio mio, questo non lo sa affatto, anzi ne dubita, vedendo che talvolta accade esattamente il contrario nel caso di una disgrazia. Qui la ragione non serve più, qui occorre una vera fede che non dubita che Dio voglia aiutare non solo gli altri, ma proprio a me voglia essere propizio; questa fede è una grazia grande e un dono raro dello Spirito Santo11.
L’altro inconveniente, ribadisce Lutero nel medesimo contesto, consiste in questo: la ragione naturale, non sa chi veramente sia Dio e si confonde su questo punto, chiamando Dio ciò che non è tale e non chiamando Dio chi tale è veramente. Solo lo Spirito Santo può insegnare chi sia veramente Dio. Invece la ragione, abbandonata a se stessa, si inganna e adora un Dio che si fabbrica a proprio capriccio, ma ingannandosi non fa altro che servire satana, cadendo nell’idolatria12.
In realtà, esercitandosi nella conoscenza naturale di Dio, l’uomo corre il rischio di entrare in rapporto con lui, semplicemente a partire da se stesso e con la volontà di diventare dominante in tale rapporto. In altri termini, anche nella conoscenza razionale di Dio l’uomo è esposto al desiderio di esercitare la propria potenza su Dio e nella relazione con lui. Infatti è pericoloso voler salire in cielo senza le scale: chi si espone a tale tentativo viene in realtà schiacciato e annullato dalla Maestà di Dio13. Noi non sappiamo reggere il mistero assoluto di Dio, cioè Dio com’è in sé e per sé. Il Deus nudus non è alla nostra portata, noi possiamo avere a che fare solo con il Deus vestitus. Perciò, quando Davide si rivolge a Dio e implora la sua misericordia (cfr. Sal 51, 1: Miserere mei, Deus secundum magnam misericordiam tuam), egli non parla con il “Dio assoluto”, ma con il “Dio vestito”, rivestito della sua parola e delle sue promesse, quelle fatte ad Abramo e agli altri patriarchi14. Si comprende benissimo che cosa significhi Deus nudus: è Dio in quanto raggiunto extra verbum et promissiones, semplicemente secundum cogitationes cordis sui, è il Dio non rivelato15, non entrato in contatto con l’uomo e la sua storia, il Dio che i filosofi, ma anche gli uomini religiosi (fraintendendo paradossalmente la rivelazione storica di Dio e da essa di fatto prescindendo), cercano di raggiungere speculationibus suis16.
Insomma, all’uomo che si arroga il potere, la forza, la capacità propria di porsi davanti al Dio nudo, vale a dire alla Maestà immensa e imperscrutabile di Dio, tocca in sorte di trovarsi davanti alla sua santità e giustizia assoluta: qui egli non può provare altro che timore, paura e disperazione. Tuttavia, dal momento che noi non possiamo reggere la Maestà di Dio né possiamo comprenderla, piace a Dio di adattarsi al nostro modo d’intendere e alle nostre facoltà dotate di poca forza, perciò egli si manifesta come Deus vestitus delle sue parole e delle sue promesse, nelle quali è contenuto anche Cristo17. Possiamo accostarci a lui solo se egli si riveste di una voce umana e si adatta alle capacità del nostro modo d’intendere. In questa forma di condiscendenza Dio può essere avvicinato dall’uomo c he può riporre la sua fiducia in lui.
Certo, si può dire, con Lohse18, che Lutero intende compiere un cammino tutto fedele alla prospettiva di sant’Agostino. Il grande ricercatore della verità, nei Soliloquia, non si chiedeva nient’altro che questo: qual è o quali sono le questioni sulle quali vuoi indagare per ottenere una risposta? E dichiarava a se stesso che unico era il suo interesse: Deum et animam scire cupio. Nihilne plus? Nihil omnino19. Proprio nella prospettiva di Agostino, che non è mai semplicemente legata alle esclusive operazioni dell’intelletto, ma considera esistenzialmente tutta la persona, assumendola nella sua storicità e dunque nella concretezza della storia salvifica, L utero si pone la questione della conoscenza di Dio, senza mai prescindere dalla condizione storico-concreta dell’uomo, che è quella di uomo peccatore, e dalla rivelazione storica di Dio in Cristo e in Cristo crocifisso.
Solo la conoscenza propriamente teologica di Dio, dell’uomo e del loro rapporto dà ragione della condizione storica e concreta dell’uomo. Su questo punto Lutero è stato veramente innovatore e coerente nel definire l’oggetto d’interesse della teologia:
La conoscenza di Dio e dell’uomo è sapienza divina e propriamente teologica, tale però da essere riferita a Dio che giustifica e all’uomo peccatore, sicché l’oggetto della teologia sia propriamente l’uomo colpevole e perduto e Dio che giustifica e salva20.
In tal modo diventa quanto mai manifesto che l’esercizio d’interiorità richiesto da Agostino non si identifica mai per Lutero con un mero rientro in se stesso di tipo psicologico né di tipo metafisico, ma si compie in un autentico esercizio teologico: è un interrogare se stessi allo specchio della Scrittura. Questa riflette la realtà esperienziale dell’uomo e la chiarisce alla luce della condizione di peccato e nell’appello alla conversione, offerta all’uomo dalla misericordia di Dio radicata nelle promesse di Dio che si compiono in Cristo. Qui risulta anche evidente come questa definizione dell’oggetto della teologia sia perfettamente coerente con la definizione che Lutero dà di theologia crucisrispetto alla theologia gloriae21. Ed è altrettanto evidente come la questione dell’unico ve ro oggetto o argomento della teologia, intesa come theologia crucis, porti immediatamente alla ribalta la questione della giustificazione: essa non costituisce affatto un tema posticcio, che arrivi “dopo” e come un’aggiunta, rispetto a una conoscenza di sé e di Dio che potrebbero essere già perfettamente compiute in se stesse. Al contrario: il tema della giustificazione si presenta come il luogo teologicamente vero, all’interno del quale soltanto prendono corpo la conoscenza di sé e la conoscenza di Dio22.
Pertanto Dio non vuole restare un Deus vagus, ricercabile all’infinito, indeterminato ecc. Egli si determina, si umanizza, prende corpo per noi. Incontra Israele in una determinata storia, in tempi e luoghi precisi, parla loro tramite alcuni profeti particolari e si impegna con loro e a loro si lega con promesse concrete23. Tutte queste forme di manifestazione, compresa la predicazione della parola e gli stessi sacramenti, sono le sue «larve», le sue «maschere»24, «la nebbia e l’ombra» di cui egli si circonda e che egli suscita, per presentarsi a noi, altrimenti non potremmo sostenere la sua Maestà25. Dio prende anche voce umana nel Figlio suo e in lui si rivela e al tempo stesso si nasconde. C’è infatti un nascondimento del Dio rivelato e un nascondimento del Dio nascosto26: sono due aspetti complementari del rapportarsi di Dio a noi27, i quali sono ugualmente modi e contenuti della nostra fede in Cristo.
Note
1 Come primo riferimento si veda: H. Petri, Glaube und Gotteserkenntnis von der Reformation bis zur Gegenwart (= Hanbuch der Dogmengeschichte, I, 2c), Freiburg-Basel-Wien, Herder, 1985, pp. 61-68.
2 Per Lutero, in particolare, vedi: P. Althaus, Die Theologie Martin Luthers, Gütersloh, Gütersloherverlagshaus, 19836, pp. 31.34; B. Lohse,Luthers Theologie, Göttingen, V&R, 1995, pp. 52-54.
3 Lutero commenta il testo della Vulgata, Rm 1, 19-23: «quia quod notum est Dei, manifestum est in illis; Deus enim illis manifestavit. Invisibilia enim ipsius a creatura mundi per ea quae facta sunt, intellecta respiciuntur, sempiterna quoque eius virtus et divinitas; ita ut sint inexcusabiles. Quia cum cognovissent Deum, non sicut Deum glorificaverunt aut gratias egerunt, sed evanuerunt in cogitationibus suis, et obscuratum est insipiens cor eorum, dicentes enim se esse sapientes stulti facti sunt. Et mutaverunt gloriam incorruttibilis Dei in similitudinem imaginis corruptibilis hominis et volucrum et quadrupedum et serpentium»; per il commento cfr. WA 56, 173-184.
4 WA 56, 176, 26-177, 1, trad. it. M. Lutero, La lettera ai Romani, a cura di F. Buzzi, Cinisello Balsamo, San Paolo, 1996, p. 213.
5 WA 56, 177, 8-9: «In hoc ergo erraverunt, Quod hanc divinitatem non nudam reliquerunt et coluerunt, Sed eam mutaverunt et applicaverunt pro votis et desyderiis suis».
6 Ibid., 177, 11: «Et sic Dei veritatem mutaverunt in mendacium».
7 Sui limiti e le ambiguità della ragione naturale a proposito della conoscenza di Dio, si veda: B. Lohse, Ratio und Fides. Eine Untersuchung über die ratio in der Theologie Luthers, Göttingen, V&R, 1958, pp. 63-63; Th. Kaufmann, Die Ehre der Hure. Zum vernünftigen Gottesgedanken in der Reformation, in Der Gott der Vernunft, a cura di J. Lauster e B. Oberdorfer, Tübingen, Mohr Siebeck, 2009, pp. 76-78. Sul carattere antispeculativo della ricerca di Dio in Lutero, vedi: K.-H. zur Mühlen, Reformatorisches Profil. Studien zum Weg Martin Luthers und der Reformation, Göttingen, V&R, 1995, pp. 134-135.
8 M. Luther, Der Prophet Jona ausgelegt (1526), in WA 19, 167-251. Su questo testo si trovano ottime considerazioni in H. Zahrnt, Luther deutet Geschichte, München, Verlag Paul Müller, 1952, pp. 25-33, ma anche Lohse, Ratio und Fides, cit., p. 59.
9 Ibid., 19, 205, 29-30, 34-35: «naturliche vernunfft kennet, das die gottheyt etwas grosses sey fur allen andern dingen [.] Gott sey eyn solch wesen, der da helffen konne ym meer und ynn allen no(e)tten. Solch liecht und verstand ist ynn aller menschen hertzen.».
10 Ibid., 19, 206, 13.
11 Cfr. ibid., 19, 206, 27-30: «Nu ist aber von no(e)ten solcher glaube, der nicht zweyffel, Gott wolle nicht andern alleyne, sondern auch myr gnedig seyn. Das ist eyn rechter, lebendiger glaube und eyne grosse, reiche, seltzame gabe des heyligen geysts».
12 Ibid., 19, 206, 31-33; 207, 14-30.
13 WA 40/II, 329, 22-26: «Hunc Deum absolutum debent omnes fugere, qui non volunt perire, quia humana natura et Deus absolutus [.] sunt inter se infestissimi inimici, nec potest fieri, quin a tante Maiestate humana infirmitas opprimatur».
14 Ibid., 40/II, 329, 29-31: «Hunc Deum non nudum, sed vestitum et revelatum verbo suo necesse est nos apprehendere, alioqui certa desperatio nos opprimet».
15 Ibid., 40/II, 329, 32-35: «Gentes enim loquuntur cum Deo extra verbum et promissiones, secundum cogitationes cordis sui, Prophetae autem loquuntur cum Deo induto et revelato promissionibus et verbo suo».
16 Ibid., 329, 20-22: «Populus Israel non habuit Deum absolute speculatum, ut sic dicam, sicut imperitum monachorum genus speculationibus suis ascendit in coelum et de Deo absolute cogitat».
17 Ibid., 329, 27-28: David «loquitur cum Deo vestito et induto promissionibus suis, ne excludatur a nomine Dei Christus».
18 Lohse, Luthers Theologie, p. 53.
19 Augustinus, Soliloquia, 1, 2, 7.
20 WA 40/II, 327, 11-328, 2: « Cognitio dei et hominis est sapientia divina et proprie theologica, Et ita cognitio dei et hominis, ut referatur tandem ad deum iustificantem et hominem peccatorem, ut proprie sit subiectum Theologiae homo reus et perditus et deus iustificans et salvator».
21 Le tesi principali della theologia crucis e del suo rapporto con la theologia gloariae sono state chiarire da Lutero nella Diptuta di Heidelberg (1518). Si tratta soprattutto delle tesi dal 19 al 22, WA 1, 361-363.
22 Cfr. Lohse, Luthers Theologie, p. 54.
23 Cfr. Althaus, Die Theologie Martin Luthers, pp. 32-33.
24 WA 17/II, 262, 37-263, 3: «Die das Euangelion yetz treiben, sind es nitt, die es thu(o)n, sie sind nur aine larve und mummeley, durch welche Gott sein wercke und willen aussrichtet. Ir seyts nicht (spricht er) die die fische fahen, ich ziehe das netz selbs, Das kann aber niemant erkennen, wie Got durch schwacheit würcket, denn der da glaubt».
25 WA 39/I, 244, 15-245, 6: «Si veniret ad nos in sua maiestate, non possemus eum capere et hanc totam lucem ferre. Itaque venit ad nos prophetia, adest vere corporaliter seu substantialiter et operatur in nobis per verbum et sacramenta. Haec enim nunc eius sunt involucra. Oculi nostri sunt mali, haebetes, lippi, obscuri, non possent eum aspicere. Ideo (ut iam dixi) tectus ad nos venit, facit nobis nebulam et umbram».
26 Su questa dialettica tra Verborgenheit des offenbaren Gottes e Verborgenheit des verborgenen Gottes insiste molto D. Korsch, Martin Luther, Tübingen, Mohr Siebeck, 20072, pp. 73-87.
27 Invero anche il «sottrarsi al rapporto» da parte di Dio (il suo essere in sé e per sé, il Deus nudusabsolutus ecc.) è pur sempre, sia pure per via di negazione, una forma del suo rapportarsi a noi, che da noi deve essere sempre considerata insieme al suo rivelarsi positivo ed esplicito.